A cosa pensi quando ti dico "profondo"? Ti immagini un pozzo, magari? Col suo cilindro di tenebra che scende dritto verso il centro della terra, di cui non riesci a misurare la lunghezza. Prova a lanciare una voce, qualche volta, anche se nessuno ha risposto: magari le onde invisibili della tua voce arriveranno a destinazione, ovunque sia. E poi agita le braccia sopra il pozzo, copri e scopri la luce della luna con le tue spalle. Io sono ancora qui a farlo. L'altro giorno c'ero quasi riuscito a farti uscire, ricordi? Hai sporto appena il viso e ti ho vista, ma sei voluta tornare giù. Lo so che non c'è niente laggiù. Per questo resto a nuotare con queste braccia sopra il pozzo, ogni tanto a prendere aria guardando le stelle.

Oggi mi è successa di nuovo quella cosa: ho avuto una paura matta. A un certo punto ho guardato giù e non toccavo terra - i miei piedi galleggiavano sopra il prato. Ho messo giù le braccia e ho sbattuto la testa sul muretto del pozzo. A vedermi volare via forse ci sei rimasta male. Anche la gravità si è messa a remare contro di noi, con pagaie grandi quanto tutto il mondo. E' la gravità, vero? E' lei che mi manda via da te? Non riesco a spiegarmelo. In quei momenti sento come qualcuno che mi trascini via ma, quando poi mi giro, non trovo nessuno. A volte penso che quissù le cose si vedano in maniera più oscura che nel buio dove sei sepolta. Chissà cosa stai sentendo adesso, e se vedi qualcosa. Questa domanda mi tiene legato al sasso che ho messo qui vicino, per fortuna, e non mi lascia volare via. Anche se ogni tanto sbatto la fronte sullo stesso spigolo.

So che stasera non uscirai fuori. Non fa niente, sto qui e ti faccio compagnia. Le stelle sono bellissime, sai? Da piccolo volevo andarci, anche se mi chiedevo come potesse un uomo reggersi su un pallino luminoso grande poco più di un granello di sabbia. Che strana la profondità, no? Qualcosa che ci sembra così piccolo è spesso più grande di quanto possiamo solo immaginare. Chissà se funziona anche al contrario: se qualcosa di infinitamente grande, via via avvicinandosi, diventi un granello per poi scomparire davanti le palpebre. Oppure la profondità esiste soltanto in un senso unico, senza entrata né uscita. Ma sono convinto che certe cose devono essere viste da vicino così come da lontano, altrimenti stai guardando solo una faccia della Luna, no? Della medaglia, volevo dire.

Guarda che se fai il muso lungo lo vedo anche al buio, che pensi? Dai, non puoi fare questa storia solo per questo. Cosa vuoi che sia, una sola, la sera... Lo so che non vuoi ma, già che sto qui da solo ad aspettarti, lasciami sgarrare qualche volta. Oggi sono andato anche ad allenarmi: ho fatto sette vasche in tempo record. Non ti va bene nemmeno questo, però. Che c'è di sbagliato? Che c'è di sbagliato se voglio allenarmi a nuotare nel vuoto, a trattenere sempre di più il fiato prima di girarmi, ricordarmi delle stelle, respirare?

Mi senti lo stesso se sto sdraiato qui vicino sul prato? Altrimenti puoi sempre farmelo sapere, lo sai. Che parlo a fare... Potrei anche mettermi a urlare. Sì, a urlare alle stelle tutto quello che non hai mai voluto sentire. E forse mi ascolteranno, immerse in un mare profondo di luci che risplendono, e mi chiederanno di andarle a prendere: stelle! Sono qui: prendetemi. Prendetemi e portatemi dove tutto questo abbia un senso o dove il senso non serva, dove una voce, una soltanto in mezzo a tutto questo dannato silenzio mi dia una risposta. Una che non voglia dire niente, che non sia intonata, che gracchi di sporco. Così lontane e così grandi, so che riuscirei a sentirvi! Fatemi uscire, fatemi uscire dalla cima di questo pozzo da cui non riesco a slegarmi più.
Ditemi: siete state voi a tirarmi verso il cielo?

Forse sono io a non farti uscire? Forse ti sto solo dando fastidio, fermo qui a questo pozzo. Dovrei andarmene per lasciarti sola, anche se sola lo sei già. Vado a farne un'altra: è sera. Puoi non tenermi il broncio, non ce n'è bisogno, tanto non sono nemmeno qua davvero. Prima che me ne vada capisco cosa ho avuto paura di perdere: il silenzio che ti passi. Quello denso e minuscolo, capovolto. Non volevo perdermene una parte. E - nel mentre - cercare parole nel vuoto, galleggianti a metà del pozzo, da pescare e lavare dalle alghe, asciugare al sole e stendere su un prato bagnato. Ho collezionato le tue foglie secche.

Le parole rimaste sono le mie, lungo le pareti scivolose del pozzo. Stanotte l'ho sentita, sai: la risposta. Non ho capito da dove provenisse, né dove fosse diretta. E' soltanto passata senza fare né rumore né silenzio. E' stato un sussurro nell'orecchio, di quelli che senti il respiro farti rabbrividire tra il lobo e la nuca. Alzo il sasso da dove l'avevo messo, qui a terra, e mi accorgo dei vermi che sono cresciuti sotto di lui, strisciando silenziosi. Avevo dimenticato quanto pesasse. Salgo sul muretto del pozzo cercando di tenere l'equilibrio e guardo un'ultima volta giù: non si sa mai che ti faccia viva all'ultimo. Lentamente comincio a calare la pietra nel buio e, appena oltrepassa la soglia, scompare nella polpa nera. Ho le braccia stanche ma sto attento, non vorrei ti sbattesse contro. La faccio scendere più lenta d'una foglia che plana verso terra. Chissà quanto dovrò stare qui a calare ques... Le spalle non mi fanno più male. Tocco la corda con attenzione: è lenta. Non avrò percorso nemmeno un metro di profondità. Quasi cado dal muretto per la sorpresa. Tutto questo tempo a osservare un cerchio nero credendo potesse portare fino all'altra parte del mondo e, invece, è meno profondo di una piscina. Potrei allungare una mano e toccarti i capelli sporchi, la pelle fredda... hai sentito ogni mia parola. Ne hai sentito il sapore, di nascosto, e forse un giorno ti ha sollevato, quando ci siamo visti. Adesso te ne stai seduta vicino la mia pietra silenziosa. Ho parlato con un buco nero nella terra, in cui ogni cosa si perde. Ho perso anche la ragione per cui ho fatto scendere quel sasso. Appare tutto così controsenso, guardando un pelo d'acqua così denso da assorbire tutto quello che ho provato. Se ci entrassi, forse, forse scomparirebbe, o io scomparirei con lui. Mentre affondo la mano per toccarlo, mi succede di nuovo. Mi arrendo a me stesso, quello che davvero tira via. E stavolta non voglio, no, non voglio guardare i miei piedi. Adesso so che puoi guardare le stelle, ti lascio una strada abbandonata per raggiungerle. Guardo i puntini luminosi del cielo crescere insieme al mio respiro, riprendo aria e mi sembra di ascoltare le voci delle stelle che hanno ascoltato questo tempo. Supero la fascia principale degli asteroidi e mentre schivo i corpi celesti passo una mano sulla corda che mi lega la vita. Tra Saturno e Urano la lunghezza finisce e galleggio nello spazio, lasciandomi colpire dalla luce.

A cosa pensi quando dico "profondo"? Mentre scavalcavo la stratosfera, mi è venuto in mente un corpo ammantato di nero. Quel pozzo non era profondo: soltanto opaco, immune alla luce che riceve e ai riflessi delle parole. Assorbe, non risplende. E quel che non risplende non ha forma. Il secondo materiale meno riflettente al mondo è prodotto in nanotubi di carbonio e riflette lo 0,0035% della luce che riceve, ma sul riflettometro non ci sono nemmeno quei numeri dopo i tuoi zeri, adesso. Non c'è percentuale di luce che lasci passare su di te. Hai messo un attributo di opacità all'inizio del paragrafo, tra virgolette nascoste, così da legarci sottotraccia, così da fare tutto sotterraneo. Ma non in questo capo/verso, che si gira a guardarti mentre il pozzo diventa sempre più piccolo. La profondità viaggia solo in un verso, ho capito, come le stelle e ogni altra cosa. Sulla superficie più vicina ora ci sono le storie che si mostrano alla luce e nuoto tra le loro parole. Ma il respiro mi si blocca, mi si blocca quando sento ad anni luce di distanza la tua mano sfiorare e far vibrare la nostra corda.
Ma soltanto in apnea, quando il tempo si ferma, ci vedo navigare su una strada abbandonata con pagaie grandi quanto il mondo intero, tuffarci, tagliare la corda da quel sasso per nuotare insieme fino al pianeta su cui più risplendi.

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